In una città allo sbando, grigia e provinciale come nessuna capitale europea, città corrotta e inospitale, stupisce che il «sussulto civico» preteso dal Commissario Tronca si traduca nell’accanimento contro centri sociali autogestiti e associazioni culturali. Ma un po’ di sano realismo mette subito da parte lo stupore e prova ad afferrare il problema per quello che è: tra retorica del decoro, apologia del civismo e governo neoliberale del territorio – ovvero governo per il mercato – c’è piena coincidenza. Di più: si colpiscono le figure del dissenso e della partecipazione attiva per nascondere lo sperpero senza precedenti della Metro C, il disagio di chi, in periferia, attende ore l’autobus, la disoccupazione di migliaia di giovani e le tante crisi occupazionali in corso.
Indigna allora, ma non stupisce, la Determinazione dirigenziale del 30 dicembre scorso, con la quale il Comune di Roma dispone lo sgombero di Esc, l’atelier autogestito che animiamo, e che anima la città e le sue lotte da più di 11 anni. Il pretesto, qualche arretrato in sospeso. Come è noto, infatti, dopo diversi anni di occupazione, lo sgombero subito il 30 gennaio del 2007, l’immediata rioccupazione, Esc ha avviato un tavolo negoziale con l’amministrazione capitolina, ottenendo nel 2009 l’assegnazione, attraverso la Delibera 26/1995 e in cambio di un canone sociale, dello spazio di via dei Volsci 159. Ma torniamo all’obiettivo, reale, della Determinazione dirigenziale: far fuori un’esperienza di democrazia radicale e di nuovo welfare, di mutualismo e di solidarietà, di produzione culturale indipendente e socialità giovanile. A Esc i migranti trovano assistenza legale e imparano gratuitamente l’italiano; freelance e intermittenti/precari organizzano nuovi strumenti sindacali e di autotutela (Camere del Lavoro Autonomo e Precario); la Libera Università Metropolitana alimenta il pensiero critico, nazionale e internazionale, con seminari, pubblicazioni, presentazioni di libri; ogni anno L/ivre, la fiera degli editori e dei vignaioli indipendenti, è attraversata da migliaia di persone; i giovani sperimentano nuove tendenze musicali e stili culturali. Vero, tutto ciò non fa business e il mercato, che fa rima con decoro, deve vincere su tutto.
I guai, però, vengono da più lontano: la giunta Marino e un pasticciato tentativo di rimettere mano alla Delibera 26/1995, norma – occorre ricordarlo – strappata dalle lotte dei centri sociali all’epoca della prima giunta Rutelli. Il Commissario, in barba al suo ruolo, affonda il coltello nella piaga, ma, già prima, tutto o quasi era andato storto. A farla da padrone, contro il riconoscimento politico e sociale degli spazi occupati e autogestiti, l’ideologia salvifica del bando, considerato strumento neutro per esaltare il merito. Anche un bambino sa che la valutazione prevede dei criteri, e questi li fissa il più forte, quello che comanda. E quello che comanda, soprattutto in Italia, quasi mai rispetta i mandati popolari, il consenso, la ragione pubblica. Insomma, grattando la meritocrazia, scovi sempre il mercato e il suo potere, tutt’altro che neutro.
Bandi e meritocrazia di facciata, valorizzazione/privatizzazione del patrimonio pubblico la sostanza. Altro bersaglio privilegiato, infatti, è il canone di affitto sociale o calmierato, altra clausola decisiva della Delibera 26/1995. Pagare e pagare tanto. E se solidarietà e cultura non fanno business, meglio un bel centro commerciale. Meno cultura e più mercato, meno solidarietà e più competizione: questo l’obiettivo della Determinazione dirigenziale, quella che ha colpito Esc, quella che sta colpendo decine di centri sociali e associazioni culturali. Nulla a che vedere, ma proprio nulla, con la misericordia del Giubileo di Papa Francesco, di cui non c’è grande “moralizzatore” di Roma che non si riempia la bocca.
Con la strada spianata, la gestione commissariale non poteva che accelerare. Prevedibile, ma altrettanto inaccettabile. Parliamo di Esc, perché ci riguarda, ma siamo convinti che la questione riguardi tutti: si tratta dello scontro tra uso comune del patrimonio pubblico (nuovo welfare, produzione culturale indipendente, auto-formazione, sindacalismo sociale, coworking, ecc.) e valorizzazione neoliberale dello stesso. Se ideologia del bando e canoni di mercato prevarranno, l’anomalia romana dell’autogestione e delle buone pratiche solidali verrà cancellata. Noi NON lo permetteremo, e difenderemo Esc con «ogni mezzo necessario». A buon intenditor poche parole. Nello stesso tempo, riteniamo necessario trasformare la difesa di Esc in una grande occasione politica di alternativa programmatica, a maggior ragione in questa complicata fase, commissariale ed elettorale nello stesso tempo.
Ci rivolgiamo alle migliaia di donne e uomini che, da tanto o da poco, attraversano e vivono Esc. Ci rivolgiamo ai migranti, alle lavoratrici e ai lavoratori che, attraverso Esc, sono meno fragili. Ai movimenti sociali, ai sindacati conflittuali. Ci rivolgiamo agli amministratori locali e ai politici che non hanno abbassato la testa di fronte all’arroganza dei mercanti o dei tecnici. Al cattolicesimo di base che, della misericordia, ha fatto una pratica di vita. Al mondo della cultura che non smette di odiare la miseria del presente…
Vogliono uccidere Roma a colpi di privatizzazioni, speculazioni, ipocrisie legalitarie: NON dobbiamo permetterglielo!
Difendiamo Esc, difendiamo la città solidale, difendiamo l’autogestione!
«HIC SUNT LEONES»
#EscNonSiTocca
Vi aspettiamo tutti i giorni, a tutte le ore, in queste settimane, per vivere Esc, i suoi servizi, le sue attività. Per dire no, tutti assieme, a chi vuole «spegnere il sole».