Sabato 13 maggio a Roma è prevista una manifestazione nazionale di lavoratori autonomi. Ci sarà un corteo che partirà alle 10 da p.zza della Repubblica e si dirigerà fino a San Giovanni in Laterano. Si tratta – prima ancora di qualsiasi considerazione sui contenuti e la forma di questo appuntamento – di un fatto politico inedito. Mai prima di questa volta, in Italia, c’era stato un corteo nazionale promosso da alcune componenti del lavoro autonomo.
Le forze che lo hanno promosso si sono unite dietro il nome generico e apparentemente neutrale di “Noi professionisti”. Come a voler richiamare l’attenzione su due cose. Da un lato, nient’altro che l’evocazione di una sorta di moto di orgoglio che si cela dietro quel “Noi professionisti” e che pare voler affermare una propria esistenza in quanto categoria del lavoro. Dall’altro, sembra prendere forma una delle tante voice di una parte di quel «ceto medio impoverito», su cui tanto abbiamo discusso in questi ultimi anni di crisi vissuti pericolosamente.
La mobilitazione è partita da alcuni ordini, quello degli architetti, avvocati, ingegneri, medici, delle città di Roma e di Napoli, per poi estendersi ad altre componenti del professionismo, ottenendo l’adesione di altrettanti ordini e associazioni di categoria. Un’origine e uno sviluppo che devono far riflettere. Al netto di particolari sorprese, sabato non saremo dinanzi a una mobilitazione dell’eterogeneo mondo del lavoro autonomo, quell’enorme pluriverso del cosiddetto Quinto Stato; bensì a un corteo, che seppur non necessariamente omogeneo sul piano sociale, rifletterà principalmente una parte dei professionisti ordinisti.
Non può sfuggire neppure il fatto che il corteo sia stato direttamente promosso dagli ordini professionali: quel sistema istituzionale che tutti ben conosciamo e che storicamente ha sempre svolto una funzione politica del tutto “interna” al governo della segmentazione dei lavoratori professionisti, ergendo barriere, alimentando forti disuguaglianze nei redditi e nello sviluppo delle carriere, difendendo blocchi di potere consolidati, facendo gravare sui redditi bassi dei giovani professionisti il peso insopportabile di un onere previdenziale talvolta fuori misura. Ma evidentemente la crisi ha scavato davvero a fondo e la questione sociale del lavoro autonomo si sarà imposta sin dentro al dibattito degli ordini se ora sono anche loro a rivendicare: giusto compenso, una riforma del sistema fiscale e uno Statuto del lavoro autonomo, evidenziando di fatto come il DDL Del Conte appena convertito in legge (10 maggio 2017 ndr), non sia nei fatti risolutivo di molte questioni.
Le lavoratrici e i lavoratori della “Coalizione 27 febbraio” (C27F) hanno deciso di aderire a questa manifestazione, pur mantenendo diverse riserve sul modo in cui è stato costruito questo appuntamento. La C27F riunisce diverse organizzazioni di lavoratori autonomi e precari, appartenenti agli ordini, al modo dei free lance non ordinisti, ai para-subordinati, agli studenti e ai ricercatori non strutturati, che hanno trovato nel principio della solidarietà, nel mutuo riconoscimento delle altrui condizioni materiali, nella sperimentazione di alcuni dispositivi mutualistici, il terreno comune per far avanzare lotte e rivendicazioni. Il lavoro autonomo costituisce da solo una realtà sociale che accomuna oltre 3 milioni di persone e fuori da ogni retorica legata all’immaginario del professionismo, del lavoratore autonomo come imprenditore del sé, come lavoro di “pura e perfetta” indipendenza, si tratta nella realtà, nella stragrande maggioranza dei casi, di lavoro precario, sfruttato, impoverito, con scarsissime tutele, senza coperture di welfare, senza nessun diritto a misure di sostegno al reddito, e questo ancora adesso, anche dopo l’approvazione del cosiddetto “Jobs act del lavoro autonomo”. È a partire dal comune riconoscimento delle proprie condizioni materiali che la C27F, circa due anni fa, ha scritto attraverso un percorso partecipato la Carta dei diritti e dei principi del lavoro autonomo e indipendente.
Questo documento è contemporaneamente un manifesto politico-sindacale e una piattaforma rivendicativa, attraverso la quale, lavoratori differenti stabiliscono le loro comuni richieste di diritti e azioni a sostegno del lavoro autonomo: dal giusto compenso, alla richiesta di un sistema fiscale con maggiore progressività, dalla richiesta di un welfare davvero universale e dalla critica di tutti i dispositivi workfaristici alla rivendicazione di forme di sostegno al reddito nelle fasi di assenza di lavoro, dalla celerità dei pagamenti e dalla chiarezza delle forme contrattuali alla richiesta di un sistema previdenziale in grado di assicurare una pensione dignitosa, fino ad arrivare alla rivendicazione di provvedimenti diversi a favore dell’economia collaborativa.
Abbiamo deciso di aderire perché pensiamo che anche attraverso le nostre lotte, le iniziative attorno alla Carta, le nostre azioni a sostegno dell’esperienza del social strike dal 2015, sia stato possibile sviluppare un inedito discorso rivendicativo che proviene dai lavoratori autonomi.
Avremmo voluto un percorso di costruzione della mobilitazione più aperto, maggiormente inclusivo, senza nessuna ombra di “propretarizzazione” da parte degli ordini, all’altezza dell’esigenza politica di ricomporre organizzazioni e singoli lavoratori autonomi. Un percorso realmente democratico, con momenti di discussione pubblica, con laboratori di approfondimento, in maniera tale da comporre insieme una più articolata piattaforma rivendicativa ed una discussione su come continuare la mobilitazione anche dopo questa data. Così non è stato, ma così potrebbe essere in futuro. Ed è per questo che saremo presenti in piazza sabato.