Il Governo annuncia per domani (venerdì 13 marzo) un Decreto Legge da 12 miliardi circa, che dovrebbero arrivare a 25 (grazie alla UE), per il sostegno al lavoro e alle imprese. Si parla dell’estensione della Cassa integrazione in deroga, per tutte i lavoratori, nell’intero territorio nazionale. Oltre a questa misura, non è ancora chiaro quante e quali altre: si accenna a congedi parentali straordinari, blocco dei contribuiti e delle imposte per le partite Iva (dagli artigiani ai professionisti), alleggerimenti o rinvii di rate e mutui.
La conferenza stampa che ha anticipato questi provvedimenti non ha aggiunto particolari ulteriori. Fondato dunque il sospetto che, licenziato il Decreto, avremo a che fare con una molteplicità di interventi, ammortizzatori sociali, sgravi fiscali, ecc.; all’universalismo necessario si risponderà, come spesso avviene in Italia, con particolarismi e discrezionalità.
Da alcuni giorni sta circolando in Rete una rivendicazione, promossa da precari, intermittenti e lavoratori autonomi (di nuova generazione o fintamente tali) in Lombardia ed Emilia Romagna, che sta unendo una larga parte del lavoro povero del Paese, quello che soffre e soffrirà maggiormente l’emergenza COVID-19: Reddito di quarantena. Cosa si intende con questa parola d’ordine, quali ragionamenti l’hanno fatta nascere e perché pensiamo che sia decisiva?
Ciò che possiamo osservare, dal punto di vista “privilegiato” di cui si gode nella trincea dell’impiego senza diritti, è che questa emergenza sta provocando danni in tutto il mondo del lavoro. A pagare il prezzo più alto sono senza dubbio alcuni settori, nei quali la fragilità delle garanzie e del salario è tutt’altro che una novità: operatori sociali, dipendenti di Cooperative, lavoratrici e lavoratori del Terzo settore, della Cultura e dello Spettacolo, piccolo lavoro autonomo. Dentro ognuna di queste categorie ci sono centinaia di migliaia di persone che, letteralmente, si sono trovate da un momento all’altro a dover fronteggiare un blocco totale delle retribuzioni e del reddito.
La quarantena e il blocco degli spostamenti sta mettendo letteralmente in ginocchio anche tutto il settore del Turismo e della Ristorazione: arrivano i primi licenziamenti negli hotel, nei ristoranti e nei bar, a causa della riduzione delle attività. Se si sommano poi la chiusura di piscine, palestre e pub, istituti di formazione, scuole del privato accreditato e moltissimi altri, il numero di lavoratori che rimane e rimarrà senza impiego, stipendio o con un orario drasticamente ridotto, aumenta vertiginosamente. In generale, il settore privato, nonché buona parte di quello pubblico, sta “risolvendo” il problema obbligando i dipendenti a usufruire di ferie e permessi, arrivando fino a proporre di scalare i giorni di assenza dal Trattamento di Fine Rapporto (TFR).
Il quadro appena delineato ci segnala in modo inequivocabile che provvedimenti timidi, poco chiari e soprattutto frammentati non aiuteranno in alcun modo ad affrontare l’emergenza: rischierebbero solo di accentuare ancora di più la distanza tra i sommersi e i salvati, tra chi riuscirà a far fronte alla situazione e chi, per mesi, forse anni, non avrà la possibilità di rialzarsi.
Rivendicare un Reddito di quarantena vuol dire, in prima battuta, prendere atto della situazione e affermare un concetto semplice: è necessario erogare direttamente denaro nelle tasche delle lavoratrici e dei lavoratori, che siano dipendenti o autonomi, collaboratori o stagionali, che si tratti di lavoro nero o “lavoro grigio”. In quale altro modo potrebbero farcela, infatti, tutti coloro che sono incastrati nel lavoro occasionale, coloro che, nei contratti, hanno un monte ore decisamente inferiore a quello effettivamente svolto? Altrettanto fondamentale è immaginare e pretendere provvedimenti universali, che vadano nella direzione opposta alla frammentazione: Reddito di quarantena e welfare subito, e per tutte e tutti.
Attorno a questa rivendicazione centrale, è necessario articolare altre fondamentali battaglie: stop a mutui, affitti e bollette; sospensione del pagamento dei contributi e delle imposte per le partite Iva; blocco immediato dei licenziamenti; erogazione di un contributo straordinario per la cura alle persone anziane e fragili; congedi parentali straordinari e pagati al 100%; immediato stop all’utilizzo compensativo di ferie e permessi; concessione immediata dello smart working, dove è possibile utilizzarlo per tutti.
I soldi ci sono, ci sono sempre stati: ci vuole una patrimoniale coraggiosa, per finanziare questa e tutte le altre misure redistributive di cui ci sarà bisogno. Bene che chi ha accumulato in questi anni di lavoro sottopagato e senza diritti, speculazione finanziaria, fiscalità regressiva, restituisca parte della sua ricchezza. Ricchezza comune, socialmente prodotta ma privatamente appropriata, che alla società e al sue benessere, alla sua salute, deve essere con urgenza dedicata. Se, come ripete Confindustria per imporre al Governo le sue condizioni, sono «loro il motore del Paese», caccino il denaro in eccesso e fermino la produzione – a tutela di operai e non solo.
Ciò che l’emergenza Coronavirus ha fatto è stato portare alla luce storture e sofferenze del mercato del lavoro italiano, da troppo tempo radicate: per questo il Reddito di quarantena deve essere una misura emergenziale, per quanto riguarda le tempistiche e l’incisività, ma deve rispondere a effetti che arrivano da lontano; e affrontare una crisi che già si stagliava chiaramente all’orizzonte. Come abbiamo già affermato, in riferimento alla Sanità pubblica, l’emergenza è cronica.
Restiamo in attesa di capire cosa accadrà col DL annunciato, ma intanto dobbiamo provare a unire le mille figure del lavoro precario e sfruttato – le partite Iva poco affluenti, le piccole case editrici indipendenti, chi lavora nella Cultura, nello Spettacolo, nel Turismo, nella Ristorazione, nel Terzo settore –, chi è rimasto senza le uniche, e già insufficienti, ancore di salvezza. Nessuna e nessuno deve rimanere indietro. Oggi più che mai.