Di Antonio Sanguinetti*
Da settimane non si parla d’altro che di Reddito di Cittadinanza. È stato l’argomento più evocato nell’ultima campagna elettorale: la destra e i liberisti di Calenda dichiaravano di volerlo abolire, i 5 stelle lo difendevano. In mezzo il Pd che ha oscillato tra le due posizioni. Inizialmente in linea con l’agenda Draghi ne prometteva la restrizione, quando i sondaggi hanno iniziato a premiare i 5 Stelle ha virato verso una proposta di ampliamento.
L’opposizione politica al Reddito ha rimesso in campo il classico armamentario retorico della lotta allo stato sociale. Un modello di stigmatizzazione del povero che risale ai tempi del primo sviluppo industriale e che il keynesismo e le lotte del secondo dopo guerra avevano spazzato via. È stata Thatcher che ha ripreso i claim del povero come individuo “scroccone” per picconare il sistema di welfare inglese. Un pregiudizio che dagli anni ‘80 è diventato opinione comune tra tutti i politici neoliberisti.
Oggi dunque, possiamo accendere la TV e sentire le stesse espressioni di tre secoli fa, con il centrista di turno che definisce una misura di contrasto alla povertà come “diseducativa” o peggio “metadone di stato” come ha affermato la futura premier. Calenda e Meloni si rifanno probabilmente senza volerlo alla vulgata classica di chi ha lottato contro poveri, ritenendo volontaria la condizione di povertà. Per loro i poveri sono soggetti pigri che si rifiutano di lavorare, persone dedite all’ozio che intendono passare la vita sul divano. In una sola parola, fannulloni.
Queste critiche si presentano contro una misura, il Reddito di Cittadinanza italiano, pensata e scritta nel quadro dei modelli di workfare di stampo neoliberale, ossia un welfare finalizzato all’attivazione forzata del disoccupato. Il percettore di RdC, infatti, non può rifiutare più di due offerte di lavoro ritenute congrue. La legge scritta dai 5 Stelle, inoltre, prevede molte condizionalità, sanzioni, obblighi. L’allora ministro del Lavoro Di Maio inserì nel testo addirittura un articolo che prevedeva una pena fino a sei anni di reclusione per i percettori che contemporaneamente svolgevano attività in nero. Il RdC in Italia fa paura nonostante, in fin dei conti, si tratti di una misura economicamente blanda con notevoli aspetti punitivi. I partiti ne discutono la soppressione, quando invece andrebbe ampliato ad altre fasce di poveri e sganciato dalle politiche attive. Per fronteggiare le molteplici crisi che stiamo affrontando e affronteremo nei prossimi mesi servirebbe una misura ben più finanziata, incondizionata e universale del tanto odiato Rdc.
“Al Sud il Reddito di Cittadinanza è il primo partito”
In Italia le retoriche contro i poveri si arricchiscono di venature razziste e antimeridionali. I tassi di disoccupazione e di povertà sono da sempre più alti nelle regioni del Sud e, dunque, nelle aree del Mezzogiorno vivono la gran parte dei poveri e dei disoccupati. Le caratteristiche dispregiative associate ai poveri in Italia diventano tratto antropologico dei meridionali. Nel corso della campagna elettorale si è visto e sentito di tutto sui soliti napoletani, calabresi o siciliani che pretendono di vivere di assistenzialismo. Addirittura frasi senza senso logico come “il Reddito di Cittadinanza è voto di scambio”, oppure i “i 5 Stelle usano il Reddito di Cittadinanza come sistema clientelare”.
Tuttavia, le peggiori affermazioni contro i meridionali sono state scritte nell’analisi post elettorale. Giornalisti e politici hanno correlato il voto ai 5 Stelle nei collegi con il numero dei percettori di Reddito nella zona. In modo grezzo hanno costruito l’equazione “un percettore uguale un voto”. Chi costruisce questi teoremi naif non sa effettivamente di cosa parla, non conosce il Reddito e non sa chi può ottenerlo. Infatti, il bacino dei percettori non corrisponde a quelli dei votanti, tra i percettori una parte consistente è formata da minori e migranti. Questi ultimi, a causa di leggi palesemente razziste, non godono del diritto di voto alle elezioni politiche, l’elettorato attivo è riservato solo ai possessori della cittadinanza italiana.
Per capire chi sono i beneficiari è bene precisare che il RdC è una misura di sostegno che si assegna ai nuclei familiari. Per calcolare il numero di percettori, si moltiplica il numero dei nuclei per i componenti. Infatti, ci possono essere single (550 mila) oppure famiglie composte da più di una persona e, ovviamente, anche con figli. Secondo il report trimestrale dell’Inps gli under 18 sono il 25% (606 mila) del totale. Un percettore su quattro, dunque, è minorenne e sicuramente non ha potuto votare 5 Stelle. Nel report dell’Inps è indicato anche il numero di cittadini non italiani percettori, si tratta del 12% del totale. Il requisito dei 10 anni di residenza continuativi in Italia restringe la possibilità ai migranti di accedere alla misura (ma non la preclude), elemento discriminante che attualmente è in attesa del pronunciamento della Corte Costituzionale e della Corte di Giustizia Europea. L’incidenza dei migranti tra i percettori varia sul territorio nazionale, è quasi del tutto assente nel Mezzogiorno mentre è più significativa nelle regioni del Nord. Il monitoraggio del 2019 del Ministero del Lavoro la calcolava intorno al 20% in Veneto, Lombardia, Friuli, Emilia Romagna. Si può dire tranquillamente che il rapporto tra percettori e votanti è totalmente gonfiato e quantomeno il numero assoluto dei percettori votanti va ridotto di un terzo.
Un ultimo inciso riguarda la condizione di disabilità. Come indica l’Istat le famiglie con disabili sono quelle maggiormente esposte al rischio povertà e infatti risultano tra i maggiori beneficiari del Reddito. I nuclei con disabili sono 193 mila e rappresentano il 17% del totale, coprendo il 18% delle persone interessate. Anche in questo caso le persone coinvolte non è detto che abbiano avuto la possibilità di recarsi alle urne per poter esprimere il proprio voto, molti dipende dal grado e dalla gravità della disabilità. Parliamo di soggetti in alcuni casi costretti a letto, oppure con altri problemi che rendono difficile recarsi alle urne.
I poveri e il reddito di Cittadinanza
Circoscrivere il voto ai 5 Stelle nell’ambito dell’aritmetica tra votanti e percettori è un approccio sicuramente discriminatorio, eppure il ruolo del Reddito di Cittadinanza è stato senza dubbio rilevante per l’ascesa del partito di Conte fino al 15%. La lettura, però, rischia di sbagliare se racchiude il ragionamento nello spazio ristretto dell’utilità del singolo percettore. I percettori sono una popolazione mobile, variano nel tempo, non sono sempre le stesse persone. I requisiti di accesso sono legati alle soglie ISEE, al patrimonio immobiliare, mobiliare e reddituale. Spesso i percettori sono anche lavoratori, per cui al variare dello stipendio, delle ore e delle giornate lavorate si modifica anche la possibilità di accedere alla misura.
Il report trimestrale dell’Inps mostra come nei primi sei mesi del 2022 sono decaduti dal diritto 190mila nuclei, nel 2021 sono stati 346mila e 257 mila nel 2020. La causa più frequente è legata alla variazione dell’ISEE, che supera la soglia prevista, un effetto che si manifesta principalmente a febbraio, in occasione della presentazione della nuova dichiarazione dei redditi. Il numero dei percettori, inoltre, è naturalmente influenzato dall’andamento dell’economia. Durante la pandemia, ad esempio, è aumentato. L’apice è stato toccato nel 2021 e poi, a partire dal gennaio 2022, c’è stata una progressiva discesa.
Ciò vuol dire che il bacino degli interessati al RdC va ben oltre i percettori del mese di agosto ma riguarda tutta una fascia di popolazione che sta sull’orlo della soglia di povertà. Il reddito, dunque, assume le caratteristiche dell’ultima protezione sociale per la fascia più povera del lavoro, chi difficilmente riesce ad accedere altri sostegni come gli intermittenti, i lavoratori a nero o saltuari. Non sorprende una statistica dell’istituto di sondaggi Ixé che mostra come i 5 Stelle siano stati il partito più votato tra le fasce più povere della popolazione italiana. D’altronde, la concentrazione massiccia in alcuni quartieri periferici ci segnala proprio un voto omogeneo tra persone che vivono condizioni di vita simili.
Tuttavia ci indica anche un’altra cosa, in alcune zone si sono innescati meccanismi solidali di prossimità verso il vicino di casa, l’amico, il parente. Un voto per scongiurare il pericolo della cancellazione, per evitare che intere famiglie cadano nella disperazione economica. Un altro dato significativo è stato rilevato dai sondaggi Youtrend sui flussi di voto, l’istituto demoscopico mostra come tra i 18 e i 34 anni il Movimento 5 Stelle sia stato il partito più votato. Una generazione che ha conosciuto solo la precarietà e soffre più di ogni altra la destrutturazione del mercato del lavoro e il boom di contratti a tempo determinato. Nelle urne elettorali i giovani e i poveri hanno votato allo stesso modo. Un’aggregazione spontanea favorita dall’importanza per entrambi del Reddito di Cittadinanza. Un’alleanza tra gruppi sociali al momento inconsapevole ma che ci prospetta un assaggio di ciò che verrà.
*Antonio Sanguinetti è un attivista sindacale delle CLAP. Sociologo e ricercatore, si occupa di mercato del lavoro, povertà e politiche attive per il lavoro
Fonte: Il Sole24Ore