Abbiamo pensato che il ruolo del/della docente è di per sé complesso e mal retribuito (se guardiamo al resto d’Europa non possiamo che provare imbarazzo o desiderio di espatrio) ma anche che spesso siamo le/i primi/e a non conoscere i nostri diritti o anche a non sapere dove iniziare affinché vengano rispettati. Talvolta ogni scuola è un nuovo viaggio, per l’eccentricità che sembra caratterizzare di default i dirigenti ma anche semplicemente perché l’autonomia scolastica implica la frammentazione delle consuetudini e delle prassi quotidiane.
Abbiamo pensato di essere stanche di formazione, di CFU, di TFA, di concorsi ordinari e straordinari. In molti casi abbiamo anni e anni di servizio alle spalle. Un servizio che quando arriva è totale, totalizzante, “maternale”, assoluto. Il fatto che siamo precari/e e sfruttatissime/i diventa un fatto privato davanti al ruolo che comunque dobbiamo assumere davanti ai/alle nostri/e studenti/esse.
Abbiamo pensato che iniziare a mettere su bianco i nostri diritti, “sfogliarli”, ripassarli come prima di un’interrogazione potesse non essere fatto privato ma condivisione. Troppo spesso ci sentiamo sole, ma non lo siamo e non possiamo più permetterci di esserlo.
Dobbiamo organizzarci e difenderci, essere consapevoli di cosa ci spetta e pretenderlo, dobbiamo ricostruire un sentimento e una battaglia condivisa nella scuola. Soprattutto PER la scuola, perché sia luogo di lavoro e di resistenza, di crescita e di cura, per noi e per tutti/e.