Una premessa è doverosa: ci sembra evidente che la chiusura dei centri commerciali la domenica non risolva di colpo i problemi che affliggono il lavoro nel commercio, e il lavoro in generale. I temi restano sempre gli stessi e sono: la precarietà, il ricatto che questa porta con sé, i bassi salari, il mancato rispetto dei diritti contrattuali. La ricetta per affrontarli: l’esplosione e lo sviluppo duraturo di conflitti e battaglie sindacali, dentro e fuori i posti di lavoro. Una volta chiarito questo punto, per noi abbastanza ovvio, vediamo perché – spoiler allert – la proposta è a nostro avviso tutt’altro che sbagliata. Su alcune questioni dovremo procedere per semplificazioni, altrimenti non basterebbero 6-7 pagine, speriamo però di farci comprendere senza equivoci.
È doveroso chiarire: l’unico che ha detto la verità, in questi anni, è stato Maurizio Sacconi. Alle studentesse e agli studenti dell’Onda, che per un biennio e in completa solitudine hanno provato a resistere all’offensiva neoliberale scatenata dalla crisi finanziaria, indicò senza giri di parole: «abituatevi a fare lavori umili e manuali». Un modo elegante per affermare, con largo anticipo, che «la pacchia è finita». Dall’eleganza del craxiano non pentito alla strafottenza dei tecnici cari alla sinistra; da «bamboccioni» a «choosey». La volgarità di Poletti, poi, ha toccato l’apice: in riferimento alla fuga giovanile dall’Italia, l’ex ministro non si è trattenuto… «meglio non averli tra i coglioni».
O’ miracolo, o’ miracolo! Non c’è che dire, anche questa volta Renzi, Poletti, Del Conte, Nannicini e Gentiloni ce l’hanno fatta. I dati sull’occupazione pubblicati lo scorso martedì 9 gennaio dall’ISTAT lo confermano: l’Italia è fuori dal guado, lavorano tutti, ma proprio tutti. O quasi. «Si tratta del dato migliore degli ultimi quarant’anni» (nell’annus horribilis 1977 l’ISTAT ha cominciato a ricostruire le serie storiche trimestrali e la media annua): twittano entusiasti i membri dell’esecutivo-senza-sosta Gentiloni. «Il Jobs Act ha funzionato», insiste Renzi, cercando di intestarsi i 23,1 milioni di occupati fotografati a novembre scorso. Bene, bravi, (Gentiloni)bis. Così la parola d’ordine mediatica (e padronale).
Che dovessero essere proprio le campagne pubblicitarie e comunicative inventate dal governo a gettare luce sui disastri del nostro paese è al contempo grottesco e illuminante. Un tempo la propaganda veniva utilizzata per nascondere e camuffare fallimenti, dati economicamente preoccupanti, malefatte e storture di cui il governo poteva essere accusato: oggi accade esattamente il contrario! [Foto di copertina di Ketut Subiyanto]
Sarà sicuramente colpa nostra, saremo osservatori poco attenti dei fatti nostrani e avremo la colpa di concentrarci sulle inezie più che sulle cose che contano: continuiamo infatti a vedere e dipingere un paese da «gufi», mentre tutto sembrerebbe essere molto diverso. [Foto di copertina di Vittorio Giannitelli]
Precisazione iniziale obbligatoria: esaltare ciò che avviene lontano da casa nostra, in termini di lotte e di movimenti, è un’operazione cara a molti che abbiamo sempre mal sopportato. I media mainstream esaltano spesso gli straordinari conflitti che avvengono fuori dai confini nazionali, salvo poi essere silenziosi (nel migliore dei casi) o feroci nei confronti di quelli che si sviluppano in Italia – certo, nel caso francese si sono in prima battuta distinti, finché è stato possibile, per un accurato lavoro di occultamento della notizia, tanto il terrore del contagio.