Lo scorso 15 ottobre, nella conferenza stampa che ha fatto seguito al Consiglio dei ministri, il premier Renzi ha annunciato il «Jobs Act del lavoro autonomo». Già l’11 di ottobre, presso il Nazareno, il PD ha presentato le sue linee guida per “riparare il danno” dello scorso anno, quando la Legge di stabilità, poi corretta dal Milleproroghe, cancellò il regime dei minimi e nulla fece per bloccare l’aumento dell’aliquota contributiva previsto dalla Legge Fornero.
Per quel che fin qui si è capito, la riparazione avverrà in due tempi: con la Legge di stabilità si rivedono le soglie dei ricavi, innalzandole, per il regime forfettario e, nello stesso tempo, si ripristina il regime dei minimi con l’imposta sostitutiva del 5% (che però durerà solo 3 anni); con un DDL Collegato si defiscalizzano le spese formative, si estendono le tutele relative a maternità e malattia, si modifica il contenzioso (superando la tradizionale distinzione dell’articolo 409 del Codice di procedura civile), si garantisce l’accesso degli autonomi agli appalti pubblici e al fondo di garanzia in caso di fallimento del committente.
Molte delle pretese avanzate anche dalla “Coalizione 27 febbraio” nelle mobilitazioni dei mesi scorsi vengono assunte dal governo. Almeno così pare. Eppure sono molti gli aspetti mancanti. Non si estendono gli ammortizzatori sociali, né NASPI né forme di sostegno al reddito nei periodi di non lavoro. Non si dice nulla sull’aliquota previdenziale, salvo dirsi disponibili alla sua riduzione (quando?). Nulla si dice sui problemi previdenziali dei professionisti ordinisti, ovvero i contributi obbligatori indipendenti dal fatturato. Così come non si ferma il DDL concorrenza, che garantisce l’ingresso delle grandi corporation nella gestione di farmacie e studi legali, ma non solo, e che anzi diventa Collegato alla Legge di stabilità. Ancora: si parla di Statuto dei diritti, ma non si menzionano, se non marginalmente, i diritti nel lavoro, nel rapporto di committenza; la questione, decisiva, dei compensi e della loro equità non trova spazio alcuno.
Sì, siamo in una seconda fase del governo Renzi. Lo testimonia la Legge di stabilità presentata ieri dal “ganzo fiorentino” al termine del Cdm. I toni sono spocchiosi, con le consuete battute che non fanno ridere nessuno. Non basta il consenso pieno di Confindustria per conquistare un po’ di senso dell’umorismo. Lode a Stanis La Rochelle, sempre sia lodato. È sicuro il premier, sicuro di ottenere la flessibilità necessaria dall’Europa, sicuro degli effetti positivi, seppur lievi, garantiti dalla congiuntura (Quantitative easing, abbassamento dei costi energetici, ecc.). Una Legge di stabilità «espansiva» dunque, come titolano stamane i maggiori quotidiani.
In questo primo (breve) commento a caldo, vorrei soffermarmi solo su alcuni punti: il fisco; il lavoro; i poveri.
Una prima importante mobilitazione, quella che ci ha visto protagonisti questa mattina. Dopo mesi di prestazioni lavorative non retribuite, abbiamo deciso di rompere il silenzio e di pretendere con forza i nostri diritti. Mentre il presidio si è svolto a partire dalle 10 e fino alle 13, una nostra delegazione è stata accolta dal Capo segreteria dell’Assessorato alle Politiche sociali, Mario De Luca, e da Ruggero Ferreri, dello staff dell’Assessora Francesca Danese.
PopUp! è uno spazio di common work per lavoratori autonomi, freelance, partite Iva, intermittenti e precari nelle varie tipologie. Un nuovo modo di lavorare in sinergia. Vessati dal fisco e isolati nella palude della flessibilità, costruiamo uno spazio comune dove intraprendere progetti di cooperazione, mettere assieme intelligenze, far diventare la singolarità una voce plurale rompendo la solitudine della precarietà.
PopUp! non vuole solo offrire un servizio, un desk o una sala riunioni. Vogliamo dare vita ad un hub del lavoro frammentato e precario, un posto dove capirsi e riconoscere le stesse condizioni di vita. Un nuovo mutualismo per il lavoro del Terzo Millennio: di chi versa contributi alla gestione separata e forse non vedrà mai una pensione, di chi non può accedere ad un mutuo a causa della precarietà, di chi naviga a vista di contratto in contratto, o di assegno di ricerca in assegno di ricerca, di chi sa che questo mese lavorerà e il prossimo chissà senza nessuna garanzia di una continuità di reddito.
Da quasi un anno sentiamo parlare del malaffare svelato dall’inchiesta di Mafia Capitale. Tuttavia l’amministrazione capitolina, dopo essere stata coinvolta dalla stessa inchiesta ed aver dichiarato di voler prendere le distanze dai meccanismi clientelari finora emersi, non sembra voler affrontare seriamente il tema delle conseguenze che la corruttela ha sia sui destinatari dell’accoglienza, sia su chi ci lavora.
Rimettere in cammino la sfida dello Sciopero sociale: questa la discussione che si è svolta lo scorso 5 luglio presso l’iFest; questo lo sviluppo messo in campo ad Acrobax, lo scorso giovedì 10 settembre. Un’assemblea partecipata e ricca, dedicata quasi per intero alla definizione dell’agenda politica, locale ed europea. Un momento di convergenza importante per prendere le misure e rilanciare la sperimentazione pratica sul terreno programmatico già delineato lo scorso anno: salario, reddito e welfare, fisco, governo della mobilità. A maggior ragione dopo il completamento del Jobs Act, con l’approvazione degli ultimi decreti attuativi, l’introduzione del piano Scuola, l’emergenza migranti. E mentre il governo Renzi, con la prossima legge di stabilità, si appresta a imporre nuovi e pesantissimi tagli al welfare, in particolare alla Sanità.
Restituiamo in modo sintetico le proposte condivise durante la discussione:
* 17 ottobre: giornata mondiale contro la povertà, mobilitazione europea contro l’austerità, giornata nazionale di mobilitazione per il reddito e il welfare universali. Come affermato già il 5 luglio, e dopo le verifiche fatte nei mesi estivi, il 17 ottobre ci pare una grande occasione per estendere e rafforzare la battaglia per il reddito garantito. Pretesa da sempre propria dei movimenti radicali, oggi posta all’attenzione della scena pubblica anche dal cattolicesimo di base e da Libera, dalla FIOM e dalla Coalizione sociale, dalle proposte di legge di diverse forze politiche. Pretesa, non ci stanchiamo di ripetere, decisiva per rompere il ricatto della disoccupazione giovanile di massa, della precarietà, della sotto-occupazione. Pretesa, chiaramente, che non possiamo disgiungere da quella del salario minimo europeo e del permesso minimo di soggiorno, soprattutto in questo momento epocale in cui il fenomeno migratorio pone l’urgenza di ridefinire anche il sistema di accoglienza. Senza dubbi, riteniamo oggi più che mai necessaria una mobilitazione che vada oltre i perimetri di ciascuno, con uno sguardo alle mareas spagnole in difesa delwelfare. Ancor di più perché proprio ora Renzi, dopo aver tacciato la proposta del reddito garantito di incostituzionalità e assistenzialismo, sta progettando misure caritatevoli per la famiglie che vivono in condizioni di povertà assoluta (Reddito di Inclusione Sociale). Fondamentale la giornata del 17 ottobre, che dovrà essere, a nostro avviso, corteo nazionale a Roma. Altrettanto fondamentale costruire una campagna comunicativa e di conflitto degli strikers, verso e oltre il 17 ottobre, che sappia attraversare con forza il piano territoriale, dimensione cruciale per l’organizzazione delle coalizioni sociali.
Il rapporto 2015 dell’Ocsel, l’osservatorio sulla contrattazione di secondo livello della CISL, ha censito 4.100 accordi siglati tra il 2009 e il 2014. Tanti. La lezione è semplice: non è vero che con la crisi si è fermata la contrattazione; è vero che si contratta diversamente. La contrattazione di secondo livello, neanche a dirlo, ha come obiettivo principale il contenimento o la riduzione del salario. Nel 2009, infatti, la contrattazione sugli aumenti salariali ricorreva nel 53% degli accordi, nel 2014 nel 13%. La CISL, lo stesso sindacato che paga ai suoi funzionari compensi superiori ai 300 mila euro l’anno (circa 25 mila euro al mese, poco meno di 1.000 euro al giorno), si compiace per il lavoro fatto. La CISL, esperimento riuscito di sindacato neoliberale, dalla parte dei più forti.
Tra i target autunnali delle imprese, conseguentemente di Renzi, c’è proprio la contrattazione. Ridurre al minimo quella nazionale, liberandola dai contenuti redistributivi; estendere al massimo quella aziendale. Spostando interamente – salvo i minimi (?) – la contrattazione salariale sul piano aziendale, il salario si trasforma in variabile dipendente dai risultati. Di più, si scambia salario con welfare aziendale: meno soldi ma il nido per i bimbi, tanto quello pubblico, distrutto dalla spending review, non sarà mai disponibile. Tutto torna.
Era in attesa Renzi, ma il momento è arrivato. I dati INPS, in contrasto con le ultime rilevazioni mensili dell’ISTAT, ratificano il successo del Jobs Act: nel primo semestre del 2015, in rapporto al primo del 2014, sono cresciute del 36% (+252.177) le assunzioni con contratti a tempo indeterminato. L’Italia «cambia verso», anche l’OCSE conferma, i giovani possono finalmente prendere in mano il loro futuro. Scrive Renzi su Fb: «I dati diffusi dall’INPS dicono che siamo sulla strada giusta contro il precariato e che il Jobs Act è un occasione da non perdere, soprattutto per la nostra generazione». Grazie Renzi, i giovani ti amano.
Soltanto pochi giorni fa, il presidente dell’ISTAT, Giorgio Alleva, intervistato dal Fatto Quotidiano aveva detto: «Valutare il saldo tra attivazioni e cessazioni dei contratti come se fosse un aumento di teste, cioè di occupati, è una approssimazione non accettabile. Il governo fa il suo mestiere, ma a me preoccupa molto quando si sbandierano dati positivi dello 0,1%, anche perché poi – come si è visto – portano a fare dietrofront il mese dopo». Basterebbero queste precisazioni, relative al metodo, per mettere all’angolo il “ganzo” fiorentino. Così come sarebbe opportuno insistere sull’aumento del 30% (+331.917) delle trasformazioni dei contratti a tempo determinato o di apprendistato in contratti a tutele crescenti. Ma vogliamo essere generosi, e andare – o tornare – al punto.
É passato un anno e mezzo da quando ci siamo mobilitati contro la chiusura del Ce.Fi., centro di riabilitazione neuromotoria e logopedica di Ciampino. Una lotta ostinata, generosa e tenace, per salvare il centro con i suoi 143 posti in convenzione, i tanti pazienti, soprattutto bambini, che non potevano e non possono fare a meno delle sue cure. E per far rispettare i diritti di chi lavora, il diritto alla retribuzione per il lavoro svolto in primo luogo. Una lotta estenuante, fatta di avanzamenti e battute d’arresto, continui colpi di scena.
Domenica 12.07, ore 20 presso Officine Zero
Cena a sostegno delle lotte del lavoro
CLAP e Officine Zero vi rivolgono un invito speciale per una serata importante: una cena per costituire una cassa di mutuo soccorso a sostegno della vertenza delle lavoratrici e dei lavoratori dell’accoglienza. Un’occasione utile per dare un contributo a chi, da mesi, non percepisce lo stipendio. Di più, un momento di incontro con la cultura materiale argentina, la sua cucina e i suoi sapori. E saranno proprio i lavoratori della ristorazione in lotta, anche loro senza stipendio da mesi, a offrirci questa opportunità. Una serata in cui lotte, cibo e socialità si incrociano, all’insegna della solidarietà.
Costo della cena (anche per vegetariani): 15 euro (compreso un bicchiere di birra o vino)
Necessaria prenotazione entro giovedì 9.07 ore 20. Per prenotazione, scrivi a: info@clap-info.net; info@ozofficinezero.org